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Di fronte all'esperienza di perdere una persona cara ci sentiamo sprofondare e ci sembra che il terreno solido su cui poggiavamo sicuri i piedi sia improvvisamente crollato. Ricostruirsi fra quelle macerie è un lavoro lento e delicato, ma possibile. Un lavoro, quello dell'elaborazione del lutto, che mi piace riassumere così: immaginandoci metaforicamente la vita come un teatro potremmo dire che chi muore non esce dal teatro; chi muore può lasciare il centro del palcoscenico e far procedere la scena, solo quando chi resta gli paga un biglietto per assistere a un nuovo spettacolo da un palchetto laterale. Leggi il mio nuovo articolo sul portale Medicitalia.it:Tornare a vivere dopo l'esperienza del lutto

Quando nasce un bambino con una disabilità il rischio da un punto di vista psicologico sta nella negazione inconscia dell’immagine del figlio nel futuro. Come trasformare la ferita genitoriale in risorsa per sè e per il figlio?

Leggi il mio Nuovo Articolo sul Portale GuidaPsicologi.it: Genitorialità e disabilità: l'importanza per il genitore e per il figlio di ri-costruire un'immagine desiderante

Lavorare sulla propria amabilità vuol dire ri-appropriarsi dell’esperienza per cui la propria capacità di amare può essere ri-conosciuta, ri-scoperta, ri-modellata allo scopo di essere usata nella propria vita.

Leggi il mio Nuovo Articolo sul Portale GuidaPsicologi.it:

Vita affettiva/sessuale e disabilità: il potere trasformante della Psicoterapia

Il discorso della genitorialità e quello della coppia va di pari passo nel momento in cui sentirsi abili a prendersi cura del bambino dipende dalla soddisfazione dei partners nella coppia.

Leggi il mio Nuovo Articolo sul Portale GuidaPsicologi.it: Padri e Madri restando coppia

Facilitare lo sviluppo del maschile e del femminile: una sfida per insegnanti, educatori e genitori.

Leggi il mio Nuovo Articolo sul Portale Crescita-Personale.it: Il maschile e il femminile in noi

Stress a lavoro: riconoscerlo, valutarlo, gestirlo. Anche in azienda. Come?

Leggi il mio Nuovo Articolo sul Portale Medicitalia.it: Rischio stress lavoro-correlato e Prevenzione Burnout

Fiducia nella vita è voler andare a guardare quali operazioni compiamo per sabotare la nostra autostima e quali processi vogliamo mobilitare per alimentare il coraggio che in momenti di crisi sembra mancarci. La Psicoterapia ci aiuta a mobilitare questi processi.

Leggi il mio Nuovo Articolo sul Portale GuidaPsicologi.it: Nella stanza dello Psicoterapeuta: l'alleanza terapeutica e la fiducia nella vita

Ne sentiamo spesso parlare, ma sappiamo davvero cos'è? Che cosa si intende concretamente per crescita personale e soprattutto perchè è utile nella vita?

Leggi il mio Nuovo Articolo sul Portale Psicologionline.net: Crescita Personale: cos'è e a cosa serve?

Di Psicologi ce ne sono tanti! Di Psicoterapeuti che utilizzano approcci differenti anche! Come fare allora a scegliere lo Psicologo o lo Psicoterapeuta adatto alle proprie esigenze? Come fare per orientarsi senza rimanere delusi?

Leggi il mio Nuovo Articolo sul Portale Psicologi-Italia: Come scegliersi lo Psicologo

 

 

 

BENESSERE E SOGNO: LO STAR BENE COME QUALCOSA A CUI TENDERE

A cura della Dott.ssa Imbrescia Rita

Il benessere non è un’assenza di malessere ed è uno stato soggettivo che ha a che fare con quello che ci piace, con le condizioni in virtù delle quali ognuno sente di stare bene. Dato che è soggettivo, non c’è uno schema a cui riportare questo stato e la ricerca del benessere dev’essere tagliata sulla forma del “proprio naso”, perché ha a che fare con il proprio orizzonte e il nostro orizzonte lo troviamo sognando, non per via intellettuale. Benessere è legato al sogno perché è qualcosa verso cui tendere, non è una cosa, perché se lo fosse diventerebbe una struttura e l’energia non potrebbe più fluire. Possiamo rappresentarcelo come un pavimento che non è stabile, ma è come se fosse fatto di acqua. E questo che vuol dire? Vuol dire che per muovercisi dentro bisogna re-imparare a nuotare o forse nuotare in un modo diverso da come stiamo nuotando attualmente. Il primo passo allora è riconoscere cosa ci piace e per farlo occorre permettersi di contattare il proprio “cervello di pancia”:  è nella pancia e non nella testa che possiamo contattare la parte più profonda ed emotiva di noi. Solo lasciando per un attimo sullo sfondo la parte razionale e ristabilendo questo contatto profondo con i nostri bisogni e col nostro corpo possiamo iniziare a sentire cosa ci fa stare bene e a modificare il nostro ambiente in modo che ci dia nutrimento. La promozione del benessere ha quindi a che fare con la riconquista del proprio sogno: tornando a fidarci di quello che sentiamo, potremo usare il nostro sentire come l’energia con cui costruirci una vita qualitativamente migliore.

 

RELAZIONE E INTIMITA’: LA COMUNICAZIONE AFFETTIVA

A cura della Dott.ssa Imbrescia Rita

La comunicazione affettiva è il livello comunicativo che pone attenzione all’incontro con l’altro e al contatto. È il livello comunicativo che trasmette avvicinamento o allontanamento all’altro. Basandosi sulle emozioni che proviamo, questa modalità comunicativa implica la consapevolezza che più siamo onesti con noi stessi e più possiamo scegliere che livello di intimità avere con l’altro, permettendoci di rischiare in vulnerabilità per ottenere una migliore qualità della relazione, favorita dal riconoscimento dell’altro come persona e dall’ascolto autentico, cioè privo di giudizio. Nell’intervento psicologico le incongruenze a questo livello comunicativo sono rivelate da una comunicazione che copre quella affettiva: tale comunicazione è sostenuta dalle parti nevrotiche della personalità che spingono l’individuo ad assumere inconsciamente i tre ruoli del triangolo drammatico (persecutore, vittima, salvatore), generando sfiducia, inefficacia e perdita di contatto nelle relazioni. La trasformazione da una comunicazione di questo tipo a una comunicazione affettiva onesta avviene quando, lavorando sul dipanarsi degli elementi consci e inconsci implicati nelle situazioni che riporta, il cliente impara a riconoscere a chi si rivolge, che cosa vuole ottenere dalla comunicazione con l’altro, che cosa vuole dire e impara a cogliere e mantenere i confini reciproci.Proseguendo nel lavoro, accompagnato dallo psicologo, potrà pian piano interiorizzare la differenza tra esprimere  (parlare a qualcuno di quello che accade a me) e agire (parlare di qualcuno) e imparando a riconoscerne gli effetti su di sé e sulla relazione, sarà libero di scegliere di comunicare affettivamente.

 

IL FIGLIO CHE ERO E IL FIGLIO CHE HO: VINCOLI E MODELLI FAMILIARI A CONFRONTO

A cura della Dott.ssa Imbrescia Rita

Tutti noi siamo stati bambini prima di diventare adulti. In quest’affermazione ovvia in realtà possiamo leggere un altro significato, e cioè che tutti noi quando diventiamo adulti continuiamo ad essere anche quei bambini che siamo stati tempo prima. Ci portiamo dietro un bagaglio di esperienze vissute, di memorie impresse nel corpo e nel cuore. Ci portiamo dentro il bambino/la bambina che eravamo con i suoi bisogni, le sue pretese, le sue aspettative, i suoi desideri, le sue mancanze e le sue paure.Quel bambino/quella bambina che vive dentro di noi, è il nostro bambino/la nostra bambina interiore che contiene gli aspetti di noi più spontanei e più profondi, aspetti che crescendo vengono barattati con il dover fare, il dover essere, il dover dimostrare. Presa dalla paura di non ricevere più l’amore dei genitori, la parte bambina si lascia soffocare e si adegua a quello che il contesto familiare richiede, pur di ottenere quell’amore. Ma da questo baratto ne esce ferita.Con il tempo smettiamo di trovare quell’equilibrio salutare tra le richieste nostre e le richieste del mondo e facciamo sempre più fatica a scegliere che cosa è buono per noi perché anestetizziamo la ferita della nostra parte bambina e così facendo ci dimentichiamo che quella ferita continuerà a sanguinare fin quando non verrà ascoltata e curata.Quando si diventa genitori recuperare questo equilibrio e questo contatto con il bambino interiore è il passo principale per poterci avvicinare al figlio che abbiamo e poterlo com-prendere nei suoi bisogni più intimi, proteggendolo dal trattarlo come abbiamo trattato il nostro bambino interiore. Questo vuol dire imparare a guardarlo per il figlio che è, senza sovrapporlo inconsciamente al nostro bambino interiore e senza rischiare così di soddisfare i nostri bisogni insoddisfatti servendoci di lui, anziché soddisfare i suoi bisogni reali.

IMMAGINAZIONE E DESIDERIO COME ORIZZONTE PER L’ESISTENZA

A cura della Dott.ssa Imbrescia Rita

L’immaginazione è quella funzione dell’organismo che ci permette di rievocare o pre-vedere senza che ci sia un oggetto accessibile attraverso uno dei cinque sensi (gusto, olfatto, udito, vista, tatto). L’immaginazione ci introduce così nel mondo del possibile: è un movimento di andata e ritorno dal “così com’è” al “come può essere” ed è un movimento operativo perché sviluppa comportamenti.E’ una rottura dal flusso ordinario di percezione che è in grado di provocare, per così dire, uno scompenso in quanto ricadendo nella realtà, produce effetti tangibili: quello che non si riesce a immaginare, a far esistere con l’immaginazione, non esiste. Se la persona non immagina, quella possibilità per lei, e per la sua vita, non esiste. È lei stessa che se ne priva, consapevolmente o meno. In questo senso l’immaginazione muove, scuote, sveglia: muove verso l’assunzione di responsabilità nei confronti di una realtà che viene sentita come progettabile per la persona.La funzione immaginativa è quanto di più vicino all’esperienza perché l’immagine passa per le sensazioni e permette l’emergere di ricordi che prima erano coperti. Questo è osservabile semplicemente vedendo cosa succede quando assumiamo volontariamente una postura: quello che accade è che la postura corporea attiva vissuti che prima erano silenti, inconsapevoli. E i vissuti aprono al mondo interno della persona, ampliano la sua visuale sul mondo in cui si muove. In questo senso, come magistralmente sottolinea Anna Ravenna “immaginare è generativo, cioè genera passi che prima non c’erano e va oltre”.Per immaginare occorre desiderare qualche cosa. Noi siamo esseri desideranti e il desiderio è fondamentale per una costruzione qualitativamente soddisfacente della nostra esistenza. Perché? Perché desiderare crea un orizzonte, l’esistenza deve avere un orizzonte perché una persona ci si possa, appunto, orizzontare dentro. Bisogna cioè poter immaginare che il nostro fare vada verso qualcosa di apprezzabile in termini di qualità della vita. L’essenza dell’inscindibile e fondamentale legame tra immaginazione e desiderio sta proprio nel muoversi nel mondo con un’attitudine generale di un “interesse verso”, cioè, citando sempre Anna Ravenna “un andare in giro con i pori aperti”. Il desiderio è una configurazione specifica dell’area dell’interesse: portare continuamente desiderio e immaginazione nella vita quotidiana vuol dire allora darle brillantezza, come una mano di trasparente su una parete colorata! Come accade ai muri però, la brillantezza col tempo, con gli eventi che attraversa, si opacizza se non siamo attenti a prendercene cura.

 

E-MOZIONI: IO MI CHIAMO DENTRO! … E TU?

A cura della Dott.ssa Imbrescia Rita

Le emozioni sono motivazioni al movimento dell’uomo nel mondo (dal latino e-movere). Sono le emozioni a spingerci in avanti. Le azioni poggiano sui pilastri emotivi. Che senso ha allora lavorare sui propri aspetti emotivi?   Andare a vedere come li mettiamo in moto è il primo passo per comprendere cosa scegliamo di fare abitualmente, consapevolmente o meno, e dove rimaniamo bloccati. Sarà capitato a tutti, in diverse circostanze della propria vita, di pensare in termini di “ma come mai mi trovo sempre davanti lo stesso problema?” o ancora “come mai va a finire sempre così!”. Quando ci sembra di aver fatto di tutto per far andare le cose nel modo in cui desideriamo, ma per un motivo o per l’altro, ci ritroviamo punto e a capo, possiamo essere tentati di spiegarcela in diversi modi: il destino, la fortuna, il caso. Tutti modi che non c’entrano affatto con noi stessi, tutti modi con cui ci chiamiamo fuori dalla nostra situazione. Chiamarsi fuori a volte sembra farci da salvagente, è un modo per auto consolarsi che, sul momento, ci può tranquillizzare. A lungo andare però, il rischio del “chiamarsi fuori”, è quello di iniziare a pensare che le cose capitano e non possiamo farci niente, il classico “è la vita!”. Se guardiamo bene però, possiamo accorgerci che c’è altro. Possiamo accorgerci che forse quel “è la vita!” ci tranquillizza al prezzo di toglierci la sensazione di essere al timone di quella vita. Lavorare con le emozioni allora, vuol dire partire dal fatto che NOI SIAMO UN CORPO, NON ABBIAMO UN CORPO: allo stesso modo in cui non è la vita che ci vive, ma siamo noi a viverla, e a scegliere come viverla. Solo che, il “come” viverla, si impara facendo esperienza. Facendo esperienza di cosa? Facendo esperienza di sé stessi, e delle proprie fondamenta, cioè delle proprie emozioni. Compito dello psicologo è accompagnare la persona in questa esperienza di lavoro su di sé.Lavorare su di sé vuol dire innanzitutto re-imparare a sentirsi: scoprire che le emozioni le possiamo sentire in zone precise del corpo e scoprire che possiamo entrare in contatto con queste zone. E cosa vuol dire entrarci in contatto? Vuol dire imparare a riconoscerle, a nominarle e a utilizzarle. Stando in contatto, posso decidere se farci qualcosa con quelle emozioni oppure no, posso sentire cioè qual è il sapore che mi lascia quello che scelgo abitualmente di fare … e se è un sapore che non mi piace, eventualmente decidere di cambiare la situazione, a partire da me, cioè con la consapevolezza che sono io stesso a poter fare qualcosa in tal senso.

 

IL LEGAME AFFETTIVO: COS’E’ E A COSA SERVE

A cura della Dott.ssa Imbrescia Rita

Mentre nella pancia della mamma c’è una situazione di confluenza tra la madre e il bambino, è solo dopo la nascita che si inizia a formare il legame che serve a fare da ponte all’interno della sofferenza per la separazione.Il legame permette così al bambino di attraversare il processo di separazione/individuazione fino ad arrivare alla costanza oggettuale, cioè all’interiorizzazione di una presenza materna positiva e nutriente, che renderà possibile al bambino separarsi tollerando l’assenza fisica della madre.In questo senso il legame affettivo si crea rapporto dopo rapporto e serve a sentire che abbiamo un posto nel mondo. Come animali sociali, siamo costretti a prendere posto nel “branco” e, il posto nel branco possiamo farcelo perché chi fa parte del branco ci ama e ci fa spazio. Per poter riconoscere che abbiamo un posto nel mondo abbiamo bisogno di sentirci amati così come siamo e abbiamo bisogno che ci sia qualcuno che ci ami a sufficienza per sostenerci nel nostro progetto di vita. Per questo, durante un percorso psicologico, lo psicologo ha un atteggiamento che Rogers chiama di “accettazione incondizionata”: un tipo di amore non possessivo in virtù del quale, qualunque siano i sentimenti sperimentati, lo psicologo è autenticamente capace di dare valore al cliente per quello che è in quel preciso momento. Questo tipo di clima si instaura quando lo psicologo è trasparente a sé stesso ed è capace perciò di trasmettere all’altro la stessa libertà. “L’unico cambiamento possibile è essere quello che si è”, diceva Perls. Non è mai troppo tardi per diventare pienamente e profondamente sé stessi: questa è la base fondamentale per fare della propria vita una vita soddisfacente.